lunedì 12 luglio 2010

QUANDO LA “RETE” SALVA LA VITA....


internet_e_reti_01Internet, e di conseguenza la rete con tutti i social network  inclusi,  è uno straordinario e innovativo mezzo di comunicazione e, come qualsiasi altra tecnologia, comporta aspetti positivi e negativi; richiede, pertanto precauzioni per il suo uso. Infatti, se da un lato offre numerosi vantaggi in grado di migliorare ed arricchire la nostra vita quali nuove possibilità di lavoro e di amicizia, facile accesso a qualsiasi tipo di informazione, nuovi modi per esprimersi…dall’altro è potenzialmente molto pericoloso e, se non utilizzato in modo corretto, rischia di alienarci progressivamente dalla quotidianità e dalla realtà concreta.

Quante volte i social network sono stati criticati, ma ora bisogna constatare  che la “rete” spesso sta fungendo anche da “salvavita”. Non è la prima volta che episodi di “salvataggio”  di vite umane vengano effettuati attraverso il web. E mi riferisco ai numerosi episodi di solidarietà e di aiuto che stanno sempre più aumentando. Anche qui in Eldy, mesi or sono, ce ne fu uno. 

logo_avvenireEccone un altro pubblicato sull’”Avvenire” di martedì 6 luglio (a firma di Viviana Daloiso) a dimostrazione di quanto detto su.

 

L’ALTRO VOLTO DELLA RETE

Ennesimo episodio di un suicidio scampato grazie alle segnalazioni degli utenti Internet. L’ultimo caso a Garbagnate: da Imperia avevano preso sul serio l’annuncio di una donna sul suo profilo Web

6 Luglio 2010

«Ora mi uccido» Ma Facebook gli salva la vita

Taranto: l’«addio» online di un 46 enne. Un  amico preoccupato avverte però il 112.

Può essere l’imbuto di ogni pettegolezzo possibile sugli altri, la cassa di risonanza di ogni bravata o superficialità, il propagato­re di ogni forma di violenza e sopruso. Ma può an­che diventare il luogo in cui si cerca – e si trova – aiuto. Tanto da vedersi salvare la vita.

Image_0Tra i mille volti di Facebook, c’è anche quello che ieri, a Ta­ranto, ha permesso agli agenti della Questura di impedire a un uomo di 46 anni di suicidarsi. Spo­sato, con due figli, era vessato da gravissimi pro­blemi economici e aveva deciso di farla finita: «Basta, sono disperato», aveva digitato sulla ba­checa del suo profilo sul social network.
  E un suo conoscente, allarma­to da quelle parole, aveva im­mediatamente chiamato la po­lizia, spiegando i fatti. È stata provvidenziale, quell’attenzio­ne, quello sguardo sulla vita di un amico che non si ferma sul­l’orizzonte virtuale, ma è pron­to a cogliere nel grido d’aiuto lanciato in Rete la possibilità concreta di un gesto estremo: così le forze dell’ordine sono risalite all’indiriz­zo dell’uomo, e sono piombate nella sua casa giu­sto in tempo per evitare la tragedia. Trovandolo seduto alla scrivania nell’atto di scrivere un’ulti­ma lettera anche ai suoi familiari.
  L’episodio di Taranto è solo l’ultimo di una lun­ga serie: lo scorso marzo era successo a Garba­gnate, nel Milanese. Una donna aveva annun­ciato l’intenzione di uccidersi, sempre sul suo profilo: allora la segnalazione al 112, e poi alla Polizia Postale, era arrivata da un utente della provincia di Imperia. La donna era stata raggiunta nel giro di un quarto d’ora, e trovata in uno sta­to confusionale e malnutrita. E poi a febbraio, ancora, protagonista sempre una donna, stavol­ta di Teramo: il tam tam degli amici, che aveva­no letto le sue parole di addio sulla bacheca del suo profilo, l’ha salvata.
  «Sono episodi che parlano di due aspetti fonda­mentali del mondo dei social network e, in par­ticolare, di Facebook», spiega il sociologo Giu­seppe Romano. Il primo è quello di una realtà ba­sata sempre più sulla Rete come mezzo di co­municazione: «Quello che avviene online – con­tinua Romano –, quello che si fa o si annuncia sul proprio profilo non è 'altro' dalla realtà. È qualcosa che c’entra con la vita di ciascuno, che parla di solitudine vera, di problemi concreti, non è solo 'virtuale'». Ecco allora che sempre più per­sone oggi esprimono il proprio disagio reale su Facebook, lan­ciando richieste d’aiuto, di confronto e di dialogo. «Ma l’a­spetto più meritevole d’atten­zione, per quanto riguarda l’e­pisodio di Taranto – spiega an­cora Romano –, è che dall’altra parte c’è qualcuno che ascol­ta, che ha ascoltato. Segno che Facebook non è soltanto un’anticamera in cui tutti passano, si fermano per breve tempo, e poi vanno via. In questo caso il social network è diventato un salotto in cui ci si è seduti e si è formata una 'famiglia', in cui la dimensione dell’altro è stata presa in considera­zione seriamente». Che poi dovrebbe essere la vocazione l’obiettivo stesso delle comunità onli­ne: «Alla civiltà della Rete globale serve questa dimensione umana, senza la quale la comunica­zione tra persone diventa solo un involucro vuo­to – conclude Romano –. E senza la quale, come a volta la cronaca ci ha tristemente messo sotto gli occhi, anche gli appelli più disperati possono scivolare via».

 Così, per il sociologo Giuseppe Romano, il social network può diventare «spazio reale di aiuto e ascolto»

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